lunedì 30 luglio 2012

Impressioni di una pensionata


Sono partita da Bologna alla volta di Torchiarolo, in Puglia, dove anche quest’anno partecipo ai campi di lavoro organizzati da Libera, Arci, Spi Cgil. Sono un’insegnante di lettere, appassionata da sempre ai temi relativi alla difesa della legalità, di un’etica sociopolitica che ritengo unica àncora di salvezza della nostra società; ho analizzato prima individualmente e poi approfondito con i miei alunni fenomeni come la mafia, la camorra e la ’ndrangheta. Ma ora sono in pensione da alcuni mesi, cosa ci faccio in un campo per giovani?

Sono qui perché mi piace stare tra i giovani, perché respiro la loro vitalità, avverto la loro voglia di sentirsi utili realizzando concretamente un obiettivo, così quando qualche ex alunno che non ha ancora l’età per andare ai campi da solo mi chiede di condividere questa esperienza, accetto volentieri questo mio nuovo ruolo di tutor e l’accompagno. Il lavoro teorico trova così il modo di concretizzarsi. Perché, come dice don Ciotti, è bene, dopo aver studiato alcuni testi sulla mafia, letto articoli, guardato film, sporcarsi le mani con la realtà. È bene comunicare ai ragazzi questo sentire proprio “sul campo”! E se è possibile accontentarli in questo desiderio che non è un capriccio, né una semplice vacanza, perché non farlo?
Così, come l’anno scorso avevo preso un treno diretto a Reggio Calabria, quest’anno mi ritrovo su un treno alla volta di Brindisi. Il viaggio è lungo, ma le carrozze all’andata sono climatizzate e anche se il treno accumula ritardo, questo percorso non assomiglia minimamente ai viaggi della speranza che dal Sud portavano manodopera a basso costo al Nord, negli anni Sessanta. Per combattere la noia, viene in aiuto dei ragazzi la lettura di un libro fantasy, l’ascolto della musica scaricata sull’IPod o la conversazione al cellulare con un parente o un amico. Io, come sempre, ho la compagnia di un buon libro e la conversazione con alcuni passeggeri.
Conosco l’impegno e la fatica che mi aspettano nei prossimi giorni, ma so che mi verranno in soccorso il mio spirito di adattamento, il mio pragmatismo, la mia voglia di conoscere nuove realtà: tutto ciò mi permetterà di affrontare gli inconvenienti che si presenteranno e di vivere la quotidianità, anche se molto diversa da quella a cui sono abituata.
Arrivati in stazione conosciamo Francesco e Chiara, due coordinatori del campo, che col loro pullmino ci accompagnano a Villa Santa Barbara, che sarà la nostra prossima residenza. La villa è stata confiscata a Tonino Screti , uomo della Sacra corona unita che, dopo alcuni anni di carcere, oggi vive e lavora nell’azienda Carrisi, vi ricorda qualcosa il nome? La villa ai tempi di Tonino ha accolto molti esponenti politici, cittadini che venivano in amicizia e chiedevano favori. Sicuramente venivano anche sacerdoti perché nella villa esiste una cappella dove si celebravano le messe per la famiglia Screti. “Per la Bibbia, la giustizia è più del diritto e della carità, è l’attributo di Dio, giustizia significa impegnarsi per chi è indifeso, salvare vite, lottare contro l’ingiustizia, è un impegno attivo e audace”. Lascio ai ragazzi, e non solo a loro, la riflessione su queste parole.
Scopriamo che la famiglia Screti ha raggiunto ricchezza e potere, e dalla pastorizia, attraverso il mercato illegale e l’adesione alla Sacra corona unita, è diventata imprenditrice. All’interno della villa non potevano mancare i riti di affiliazione, per lo svolgimento dei quali il luogo è adatto perché isolato (a me sembra di vivere su un’isola, in un mondo parallelo a quello reale ), circondato da trenta ettari di terreno… Qui si potevano inoltre organizzare in tranquillità le attività “economiche” (!) quali spaccio di sigarette, traffici di droga, preparazione del vino al metanolo, tratta di uomini dall’Albania… Per dare ricchezza alla “famiglia”.
Oggi la cooperativa Terre di Puglia – Libera Terra produce un ottimo vino chiamato Hiso Telaray a ricordo di un giovane migrante albanese (questo era il suo nome), che si ribellò al caporalato e per questo nel 1999 venne ucciso a Cerignola, in provincia di Foggia. Questo vino è dedicato a tutti coloro che non chinano la testa dinnanzi all’arroganza mafiosa.
La villa viene confiscata e il boss prima di lasciarla porta via tutto quello che può portare, ciò che rimane viene in parte distrutto o danneggiato. Dal 2006, dopo anni di incuria, Santa Barbara è una cooperativa agricola di Libera e il bene espropriato alla mafia è diventato un bene sociale.
È importante che questi beni non vengano venduti anche se lo Stato ha bisogno di liquidità, perché è facile capire che una volta espropriati e immessi nuovamente sul mercato tornerebbero molto facilmente all’antico proprietario. Questo meccanismo è facilmente comprensibile.
Dopo il primo giorno, utile per guardarsi attorno, i ragazzi cominciano a socializzare, incontriamo tutti i coordinatori del campo, che oltre a Chiara e Francesco sono Valerio, Margherita e Federica; poi ci sono i “ragazzi” dello Spi che organizzano i pasti quotidiani.
La giornata inizia molto presto: sveglia alle cinque per arrivare entro le sei sui campi. Guardare i visi corrucciati dei ragazzi è toccante e il loro corpo lotta con la forza di gravità che li attira in posizione orizzontale. I primi giorni, ancora addormentati, faticano a rispondere al “buongiorno”, poi lentamente si abituano. Il lavoro nei campi è quello di dare luce all’uva nascosta sotto un’infinità di foglie o togliere i polloni per rinvigorire la pianta madre. Verso le dieci circa, si rientra perché il caldo è intenso, e anche durante il lavoro non mancano le pause per dissetarsi.
La vigna della cooperativa con i suoi lavori diventa una metafora per questa terra che cerca di riscattarsi e di dare vigore alla pianta madre, potando, estirpando la mala pianta. La cooperativa, che dà un lavoro legale agli abitanti del brindisino, fa capire che questo lavoro è un diritto e non un favore ottenuto in cambio di altri favori.
Al rientro ci si mette in fila per la doccia all’aperto che rigenera e fa tornare la voglia di scherzare. Dopo il pasto (i ragazzi divorano quantità di cibo iperboliche), preparato con i prodotti “Brutti, ma buoni” regalati con generosità dalla Coop, non manca il riposo; molti svengono letteralmente sul materassino e si svegliano verso le sedici per gli incontri pomeridiani che sono molto interessanti. Così conosciamo don Raffaele Bruno, cappellano del carcere di Lecce, don Ciotti, fondatore di Libera, Alessandro Leo, presidente della cooperativa Libera Terra di Puglia, Roberta Cappelli, responsabile Arci dell’Emilia Romagna, gli assessori della Regione Puglia, Ivano Devicienti, socio della cooperativa…
La cooperativa è per il Sud una realtà innovativa che combatte la diffidenza e la realtà dimostra che uniti si può realizzare qualcosa che si pensava impossibile. Don Raffaele ci presenta il concetto di cittadinanza e spinge i ragazzi alla partecipazione, unica via per rendere bello l’ambiente in cui tutti viviamo e afferma che non ci devono essere né protettori, né protetti, ma solo cittadini. In una società sempre più individualista, essere cittadini significa creare dei legami, sentirsi parte attiva e vigilare con attenzione sulle leggi che vengono emanate anche perché la storia stessa ci insegna che in certi periodi (storici) sono state promulgate leggi che sarebbe stato bene non rispettare.
L’incontro con don Ciotti è commovente ed esaltante, colpisce la sua convinzione, la sua determinazione, la sua forza contagiosa. La realizzazione dei campi iniziata sui terreni del Sud, confiscati alla mafia, vuol far conoscere a noi tutti, che veniamo da varie regioni d’Italia, il vero e sano lavoro di questa gente semplice che lotta contro le sopraffazioni, perché possiamo anche noi occuparcene al Nord. Anche da noi, infatti, è presente la mafia, e non possiamo far finta di non vedere e di non sapere, perché proprio questa indifferenza, questa omertà nel guardare senza voler vedere, la rende forte. La vera forza della mafia sta nella zona grigia, formata da tutti coloro che, in nome dell’interesse personale, sono disposti a fare affari con la mafia stessa. Don Ciotti nel suo libro “La speranza non è in vendita”, scrive che la strada dell’impegno è sostenuta da tre parole: corresponsabilità, continuità, condivisione, e la condivisione all’interno del campo ci fa sentire un vero gruppo, poiché condividiamo lo stesso sentire. L’ultimo giorno i ragazzi salutano i coordinatori e gli adulti del campo con questo cartello: “Grazie a voi siamo diventati un noi”. Un’altra frase adottata dai ragazzi era quella pronunciata dal giudice Livatino: “Un giorno non ci chiederanno se siamo stati credenti, ma credibili”. Spero proprio che questi slogan possano diventare un vessillo che tracci il nostro cammino.
Ivano poi, con le sue parole ci ha insegnato che bisogna sporcarsi le mani, entrare nel mondo, ma senza sporcarsi l’anima. Questa è la forza per non soccombere alle minacce e ai numerosi attentati cui sono stati e sono sottoposti i fondatori della cooperativa.
Molte sono ancora le cose da dire. Al campo ci si è divertiti, si è aperta la villa dopo il tramonto (e i tramonti che si vedevano erano da sballo), si è fatto festa con la musica e i prodotti di Libera e la pasta preparata dai “non cuochi” dello Spi Cgil. Non è mancata la serata dedicata alla tarantella e alle orecchiette. C’è stato l’incontro con nonna Gioconda, persona molto simpatica, ma anche amica dell’antico proprietario di Villa Santa Barbara, e conoscere il suo punto di vista ci ha permesso di ampliare i tasselli del puzzle su questa terra di Puglia.
L’esperienza si conclude il 9 luglio salendo su un treno che ci riporta a casa, sicuramente stanchi, ma insieme alla capacità di resistere alla stanchezza, è cresciuta in noi la conoscenza reale di ciò che significano “legalità, cittadinanza e partecipazione”, non più parole astratte, ma finalmente “toccate con mano”.
Forse noi non finiremo il lavoro iniziato, ma non possiamo esimerci dal continuarlo. E mi tornano alla mente le parole di Gramsci: “Odio gli indifferenti. Chi vive veramente non può non essere cittadino e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, vigliaccheria, non è vita. L’indifferenza è il peso morto della storia… Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini (e donne) abdica alla sua volontà, lascia fare… Nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?”.
Maria Cristina Marchesini

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