Sono partita da Bologna alla volta di Torchiarolo,
in Puglia, dove anche quest’anno partecipo ai campi di lavoro organizzati da
Libera, Arci, Spi Cgil. Sono un’insegnante di lettere, appassionata da sempre
ai temi relativi alla difesa della legalità, di un’etica sociopolitica che
ritengo unica àncora di salvezza della nostra società; ho analizzato prima
individualmente e poi approfondito con i miei alunni fenomeni come la mafia, la
camorra e la ’ndrangheta. Ma ora sono in pensione da alcuni mesi, cosa ci faccio
in un campo per giovani?
Sono qui perché mi piace stare tra i
giovani, perché respiro la loro vitalità, avverto la loro voglia di sentirsi
utili realizzando concretamente un obiettivo, così quando qualche ex alunno che
non ha ancora l’età per andare ai campi da solo mi chiede di condividere questa
esperienza, accetto volentieri questo mio nuovo ruolo di tutor e l’accompagno.
Il lavoro teorico trova così il modo di concretizzarsi. Perché, come dice don
Ciotti, è bene, dopo aver studiato alcuni testi sulla mafia, letto articoli,
guardato film, sporcarsi le mani con la realtà. È bene comunicare ai ragazzi
questo sentire proprio “sul campo”! E se è possibile accontentarli in questo
desiderio che non è un capriccio, né una semplice vacanza, perché non farlo?
Così, come l’anno scorso avevo preso un
treno diretto a Reggio Calabria, quest’anno mi ritrovo su un treno alla volta
di Brindisi. Il viaggio è lungo, ma le carrozze all’andata sono climatizzate e
anche se il treno accumula ritardo, questo percorso non assomiglia minimamente
ai viaggi della speranza che dal Sud portavano manodopera a basso costo al
Nord, negli anni Sessanta. Per combattere la noia, viene in aiuto dei ragazzi
la lettura di un libro fantasy, l’ascolto della musica scaricata sull’IPod o la
conversazione al cellulare con un parente o un amico. Io, come sempre, ho la
compagnia di un buon libro e la conversazione con alcuni passeggeri.
Conosco l’impegno e la fatica che mi
aspettano nei prossimi giorni, ma so che mi verranno in soccorso il mio spirito
di adattamento, il mio pragmatismo, la mia voglia di conoscere nuove realtà:
tutto ciò mi permetterà di affrontare gli inconvenienti che si presenteranno e
di vivere la quotidianità, anche se molto diversa da quella a cui sono
abituata.
Arrivati in stazione conosciamo
Francesco e Chiara, due coordinatori del campo, che col loro pullmino ci
accompagnano a Villa Santa Barbara, che sarà la nostra prossima residenza. La
villa è stata confiscata a Tonino Screti , uomo della Sacra corona unita che,
dopo alcuni anni di carcere, oggi vive e lavora nell’azienda Carrisi, vi
ricorda qualcosa il nome? La villa ai tempi di Tonino ha accolto molti
esponenti politici, cittadini che venivano in amicizia e chiedevano favori.
Sicuramente venivano anche sacerdoti perché nella villa esiste una cappella
dove si celebravano le messe per la famiglia Screti. “Per la Bibbia, la
giustizia è più del diritto e della carità, è l’attributo di Dio, giustizia
significa impegnarsi per chi è indifeso, salvare vite, lottare contro l’ingiustizia,
è un impegno attivo e audace”. Lascio ai ragazzi, e non solo a loro, la
riflessione su queste parole.
Scopriamo che la famiglia Screti ha
raggiunto ricchezza e potere, e dalla pastorizia, attraverso il mercato
illegale e l’adesione alla Sacra corona unita, è diventata imprenditrice.
All’interno della villa non potevano mancare i riti di affiliazione, per lo
svolgimento dei quali il luogo è adatto perché isolato (a me sembra di vivere
su un’isola, in un mondo parallelo a quello reale ), circondato da trenta
ettari di terreno… Qui si potevano inoltre organizzare in tranquillità le
attività “economiche” (!) quali spaccio di sigarette, traffici di droga,
preparazione del vino al metanolo, tratta di uomini dall’Albania… Per dare
ricchezza alla “famiglia”.
Oggi la cooperativa Terre di Puglia –
Libera Terra produce un ottimo vino chiamato Hiso Telaray a ricordo di un
giovane migrante albanese (questo era il suo nome), che si ribellò al
caporalato e per questo nel 1999 venne ucciso a Cerignola, in provincia di
Foggia. Questo vino è dedicato a tutti coloro che non chinano la testa dinnanzi
all’arroganza mafiosa.
La villa viene confiscata e il boss
prima di lasciarla porta via tutto quello che può portare, ciò che rimane viene
in parte distrutto o danneggiato. Dal 2006, dopo anni di incuria, Santa Barbara
è una cooperativa agricola di Libera e il bene espropriato alla mafia è
diventato un bene sociale.
È importante che questi beni non
vengano venduti anche se lo Stato ha bisogno di liquidità, perché è facile capire
che una volta espropriati e immessi nuovamente sul mercato tornerebbero molto
facilmente all’antico proprietario. Questo meccanismo è facilmente
comprensibile.
Dopo il primo giorno, utile per
guardarsi attorno, i ragazzi cominciano a socializzare, incontriamo tutti i
coordinatori del campo, che oltre a Chiara e Francesco sono Valerio, Margherita
e Federica; poi ci sono i “ragazzi” dello Spi che organizzano i pasti
quotidiani.
La giornata inizia molto presto:
sveglia alle cinque per arrivare entro le sei sui campi. Guardare i visi
corrucciati dei ragazzi è toccante e il loro corpo lotta con la forza di
gravità che li attira in posizione orizzontale. I primi giorni, ancora
addormentati, faticano a rispondere al “buongiorno”, poi lentamente si
abituano. Il lavoro nei campi è quello di dare luce all’uva nascosta sotto
un’infinità di foglie o togliere i polloni per rinvigorire la pianta madre.
Verso le dieci circa, si rientra perché il caldo è intenso, e anche durante il
lavoro non mancano le pause per dissetarsi.
La vigna della cooperativa con i suoi
lavori diventa una metafora per questa terra che cerca di riscattarsi e di dare
vigore alla pianta madre, potando, estirpando la mala pianta. La cooperativa,
che dà un lavoro legale agli abitanti del brindisino, fa capire che questo
lavoro è un diritto e non un favore ottenuto in cambio di altri favori.
Al rientro ci si mette in fila per la
doccia all’aperto che rigenera e fa tornare la voglia di scherzare. Dopo il
pasto (i ragazzi divorano quantità di cibo iperboliche), preparato con i
prodotti “Brutti, ma buoni” regalati con generosità dalla Coop, non manca il
riposo; molti svengono letteralmente sul materassino e si svegliano verso le
sedici per gli incontri pomeridiani che sono molto interessanti. Così conosciamo
don Raffaele Bruno, cappellano del carcere di Lecce, don Ciotti, fondatore di
Libera, Alessandro Leo, presidente della cooperativa Libera Terra di Puglia,
Roberta Cappelli, responsabile Arci dell’Emilia Romagna, gli assessori della
Regione Puglia, Ivano Devicienti, socio della cooperativa…
La cooperativa è per il Sud una realtà
innovativa che combatte la diffidenza e la realtà dimostra che uniti si può
realizzare qualcosa che si pensava impossibile. Don Raffaele ci presenta il
concetto di cittadinanza e spinge i ragazzi alla partecipazione, unica via per
rendere bello l’ambiente in cui tutti viviamo e afferma che non ci devono
essere né protettori, né protetti, ma solo cittadini. In una società sempre più
individualista, essere cittadini significa creare dei legami, sentirsi parte
attiva e vigilare con attenzione sulle leggi che vengono emanate anche perché
la storia stessa ci insegna che in certi periodi (storici) sono state
promulgate leggi che sarebbe stato bene non rispettare.
L’incontro con don Ciotti è commovente
ed esaltante, colpisce la sua convinzione, la sua determinazione, la sua forza
contagiosa. La realizzazione dei campi iniziata sui terreni del Sud, confiscati
alla mafia, vuol far conoscere a noi tutti, che veniamo da varie regioni d’Italia,
il vero e sano lavoro di questa gente semplice che lotta contro le
sopraffazioni, perché possiamo anche noi occuparcene al Nord. Anche da noi,
infatti, è presente la mafia, e non possiamo far finta di non vedere e di non
sapere, perché proprio questa indifferenza, questa omertà nel guardare senza
voler vedere, la rende forte. La vera forza della mafia sta nella zona grigia,
formata da tutti coloro che, in nome dell’interesse personale, sono disposti a
fare affari con la mafia stessa. Don Ciotti nel suo libro “La speranza non è in
vendita”, scrive che la strada dell’impegno è sostenuta da tre parole:
corresponsabilità, continuità, condivisione, e la condivisione all’interno del
campo ci fa sentire un vero gruppo, poiché condividiamo lo stesso sentire. L’ultimo
giorno i ragazzi salutano i coordinatori e gli adulti del campo con questo
cartello: “Grazie a voi siamo diventati un noi”. Un’altra frase adottata dai
ragazzi era quella pronunciata dal giudice Livatino: “Un giorno non ci
chiederanno se siamo stati credenti, ma credibili”. Spero proprio che questi
slogan possano diventare un vessillo che tracci il nostro cammino.
Ivano poi, con le sue parole ci ha
insegnato che bisogna sporcarsi le mani, entrare nel mondo, ma senza sporcarsi
l’anima. Questa è la forza per non soccombere alle minacce e ai numerosi
attentati cui sono stati e sono sottoposti i fondatori della cooperativa.
Molte sono ancora le cose da dire. Al
campo ci si è divertiti, si è aperta la villa dopo il tramonto (e i tramonti
che si vedevano erano da sballo), si è fatto festa con la musica e i prodotti
di Libera e la pasta preparata dai “non cuochi” dello Spi Cgil. Non è mancata
la serata dedicata alla tarantella e alle orecchiette. C’è stato l’incontro con
nonna Gioconda, persona molto simpatica, ma anche amica dell’antico
proprietario di Villa Santa Barbara, e conoscere il suo punto di vista ci ha
permesso di ampliare i tasselli del puzzle su questa terra di Puglia.
L’esperienza si conclude il 9 luglio
salendo su un treno che ci riporta a casa, sicuramente stanchi, ma insieme alla
capacità di resistere alla stanchezza, è cresciuta in noi la conoscenza reale
di ciò che significano “legalità, cittadinanza e partecipazione”, non più
parole astratte, ma finalmente “toccate con mano”.
Forse noi non finiremo il lavoro
iniziato, ma non possiamo esimerci dal continuarlo. E mi tornano alla mente le
parole di Gramsci: “Odio gli indifferenti. Chi vive veramente non può non
essere cittadino e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo,
vigliaccheria, non è vita. L’indifferenza è il peso morto della storia… Ciò che
avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la
massa degli uomini (e donne) abdica alla sua volontà, lascia fare… Nessuno o
pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di
far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è
successo?”.
Maria Cristina Marchesini
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