mercoledì 19 settembre 2012

Quattro donne di Bologna a Torchiarolo


Il 10 luglio 2012 partivamo per Torchiarolo in Puglia, per la nostra avventura ai campi di lavoro 2012 con Libera; ansia, emozione e tante aspettative, un viaggio lunghissimo, ci sembrava interminabile, tanta era la voglia di arrivare, capire, partecipare.  

Eleonora, Gigliola, Ivana, Norma: quattro donne dello Spi Cgil di Bologna, che decidono di fare questa esperienza di lavoro e di rapporto con i giovani studenti in un campo di Libera; una sfida con noi stesse, una sfida come impegno sociale. Stanchissime siamo arrivate alla villa Santa Barbara (confiscata alla Sacra corona unita), il ricordo più vivo per tutte, è il caldo infernale di quei giorni, ma l’adrenalina era ancora al massimo. Quattro pensionate e un pensionato di Forlì, Luigi, a stretto contatto per dieci giorni con diciannove ragazzi e ragazze (alcuni sedicenni) e tre giovani coordinatrici: un’esperienza meravigliosa che rafforza.
Sveglia alle 4,30 ogni mattina, dopo notti passate a “dormire” su materassini gonfiabili, caldo torrido anche di notte, preparazione della colazione per tutti, il lavoro nei campi sino alle 11, preparazione del pranzo, siesta e finalmente la formazione collettiva, fino alla cena e il relax delle serate accompagnate dalla melodia di centinaia di cicale giganti.
Gli incontri pomeridiani e le lunghe chiacchierate con Vincenzo, il contadino tutto fare, colui che sostiene nei fatti il prezioso lavoro nei campi, sono stati i momenti più intensi e significativi, hanno sollecitato in tutte noi mille riflessioni e interrogativi, che continuavano prima che ci addormentassimo nel buio della stanza… Solo la stanchezza frenava il fiume di parole e le analisi che avremmo voluto concludere. L’incontro con Don Raffaele, un prete che come si dice a Bologna “ce ne fossero”; Alessandro, presidente della cooperativa Terre di Puglia; il responsabile dei beni confiscati; Michela Almiento, segretaria Cgil Brindisi, e un giovane e bravissimo magistrato della procura di Brindisi, la visita alla sede della cooperativa di Mesagne e tanto altro. Lunghe chiacchierate e tante domande, la fertile curiosità dei giovani, molto attenti e impegnati (alla faccia dei bamboccioni). La sorpresa di trovare fra i giovani tre rifugiati afghani, ragazzi che hanno dovuto abbandonare il loro paese, i genitori; tra mille traversie, il loro racconto ascoltato nelle pause, è stata un’emozione indescrivibile, non volevamo piangere davanti a loro, non l’abbiamo fatto, ma una alla volta chissà perché ci si ritrovava in camera a cercare qualcosa di indispensabile e ci si soffiava il naso di nascosto. Ragazzi meravigliosi che hanno tutta la vita davanti per migliorare la loro condizione, ma quella luce opaca negli occhi è difficile da cancellare. Diego il cucciolo del gruppo, mandato dalla mamma per ben due turni di lavoro (venti giorni) per imparare che la vita è dura e le regole vanno rispettate… I nomi sono diciannove, troppi per lo spazio che abbiamo, ma sono tutti nel nostro cuore. 


Certo non si sceglie di andare a fare una tale esperienza senza una sensibilità, un pilastro familiare, ma questi giovani sono in gamba e prenderanno in mano il futuro di questo povero paese. La presenza dei volontari pensionati insieme ai ragazzi ha permesso uno scambio prezioso, di arricchimento reciproco, che si dovrà tradurre adesso in altre iniziative sul nostro territorio, di coinvolgimento, per fare conoscere e sollecitare la riflessione. I campi e i laboratori sono un esempio che, anche in quei luoghi dove la criminalità ha spadroneggiato, è possibile ricostruire una realtà sociale ed economica fondata sulla legalità. Le mafie sono un fenomeno non circoscritto alle regioni del sud, l’Emilia Romagna è una regione ricca, un territorio ambito dalle illegalità, proprio per questo non bisogna abbassare la guardia, ma attraverso la costruzione di un tessuto sociale forte, produrre azioni e una cultura diffusa della legalità, del rispetto delle regole, di promozione culturale e relazioni umane. Sul muro della villa nella sala dedicata alla formazione, spiccava una bellissima frase del giudice Livatino, ucciso dalla mafia: “Alla fine non ci chiederanno se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili”. 
Ivana Sandoni

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